Massachusetts General Hospital

 

 

Mercoledì 24 agosto 2005. Boston.

Sono passate altre due settimane. Giorni ricchissimi di esperienze e di attenta osservazione della realtà che mi circonda. Mi sono reso conto che ora, finalmente, sono veramente un membro del Team, gli altri non mi guardano più con diffidenza e distacco, mi coinvolgono, mi spiegano, confidano in me dandomi compiti da svolgere. In particolare Maha. La più giovane specializzanda che abbia mai conosciuto mi ha infatti preso sotto la sua ala protettiva (anche se ha la mia stessa età…) e mi ha spiegato ogni giorno un sacco di cose, mi ha coinvolto in quello che faceva e, cosa forse più importante, abbiamo instaurato un rapporto umano, non più solo professionale, tant’è che siamo usciti già alcune volte a cena. Credetemi, fa un certo effetto portare a cena fuori una specializzanda libanese a Boston, in uno dei migliori ristoranti (rigorosamente italiano!) della città. Sono cose che quando mi sono iscritto alla Facoltà di Medicina a Padova non mi sarei mai immaginato…

I ritmi di lavoro, al MassGeneral, si sono fatti sempre più serrati, tant’è che raramente ho lavorato meno di 14 ore al giorno (7-21). Ma la cosa più bella è stata che non sentivo la stanchezza, non mi annoiavo mai, e tornavo a casa soddisfatto e felice, non vedendo l’ora che arrivasse l’indomani per ricominciare.

Nel Team, dopo dieci giorni, c’è stato un cambio nell’organico: Alexis se ne è andata a fare un tirocinio elettivo in pneumologia, e al suo posto è arrivato Bradley, un MD-PhD come Mike, molto alla mano e disponibile all’insegnamento.

Al MassGeneral i ricoveri sono molto brevi (2-5 giorni in media) perché il trattamento e il monitoraggio dei pazienti sono altamente ottimizzati: i segni vitali vengono raccolti almeno quattro-cinque volte al giorno, vengono dosati i livelli dei principali farmaci nel sangue, si passa in rassegna la situazione di ciascun paziente almeno due volte al giorno, i tempi di attesa per qualsiasi indagine radiologica sono ristrettissimi (massimo 24 ore), tutti i pazienti sono costantemente monitorati tramite telemetria (frequenza cardiaca, elettrocardiogramma, pressione sanguigna, saturazione). Tutto il pomeriggio e una parte della mattina vengono spesi nel richiedere esami e consulti per i pazienti, nel sollecitarli se non arrivano immediatamente, nel parlare coi colleghi per confrontarsi e coordinarsi, ecc.

Comunque, il MassGeneral non è perfetto. Ad esempio, per gran parte a causa delle assicurazioni, i ricoveri sono molto brevi, quindi talvolta accade che un paziente venga dimesso o inviato a una casa di cura anche se non totalmente pronto.

Altri aspetti negativi, ad esempio, sono l’uso indiscriminato degli antibiotici, anche dei più potenti, col risultato che i ceppi batterici resistenti qui sono la regola, tant’è che a tutti i pazienti ricoverati viene fatto uno screening per Enterococchi resistenti alla vancomicina, Clostridium difficile e MRSA. Se presenti, questi batteri vengono sterminati con antibiotici sconosciuti in Italia (perché da noi non c’è questo problema). O ancora, per quasi qualsiasi dolore addominale viene ordinata una CT, che – oltre a essere costosa – espone il paziente a una forte dose di radiazioni. A tutti i pazienti viene prescritto un forte lassativo, per evitare la stipsi da decubito, anche se il ricovero è breve… Infine, una cosa discutibile è la “franchezza” con cui i medici rivelano ai pazienti i loro sospetti clinici, anche in caso di patologie gravi precedentemente non diagnosticate: oggi, per esempio, abbiamo avuto una paziente a cui, in pronto soccorso, era stato detto che l’avrebbero ricoverata “per valutare se fosse presente un tumore al polmone”. Comunque, la franchezza – anche se talvolta eccessiva – è una caratteristica del fare Medicina di ispirazione anglo-sassone.

Tornando agli aspetti positivi, salta subito all’occhio l’estrema disponibilità al confronto, alla spiegazione, al tutoring, di ciascun medico, dagli Interns fino ai Chief Resident e oltre. Qui i medici, comunque, sono molto più giovani – in media – rispetto all’Italia. Un segno, evidentemente, di fiducia nei giovani e di mancanza di quella ahinoi familiare attitudine al “baronato” che porta a riempire gli ospedali di cariatidi che mettono radici sulle loro cariche accademiche e non, atteggiandosi come se fossero “Dio-in-terra”. Qui, per fortuna, la situazione è molto diversa, e molte possibilità di far carriera vengono date a chi se le merita, giovani o vecchi, uomini o donne, americani o no, di qualsiasi razza e religione.

Un’altra cosa fenomenale è il sistema computerizzato, che è parte integrante e fondamentale della quotidiana pratica clinica. Con ognuno dei diciassette computer del nostro reparto, possiamo accedere alle cartelle cliniche di tutti i pazienti, vedere i risultati degli esami, anamnesi ed esame obiettivo, referti delle indagini radiologiche e dei consulti. Tramite i computer, inoltre, si prescrivono i farmaci e si ordinano gli esami. Ogni membro del personale sanitario (io compreso) ha un account, ciascuno con i “poteri” che gli competono (ad esempio, gli studenti non possono prescrivere farmaci, ma possono fare tutto il resto). Inoltre, tutti possono avere rapido accesso a libri di testo ondine, enciclopedie mediche, formule per calcolare i più svariati parametri, prontuari farmaceutici, ecc. Ciliegina sulla torta: sempre tramite i computer, è possibile vedere le immagini radiologiche: dalle CT alle risonanze magnetiche, dalle ecografie alle scintigrafie, dalle radiografie alle arteriografie, ecc. E tutto è facilmente salvabile come immagini, in modo tale da poter facilmente preparare presentazioni di casi clinici.

Infatti, la noon conference è un momento molto amato, tra i medici dell’MGH. Il livello teorico delle conferenze è adatto sia a studenti che a ricercatori, e il taglio che viene dato a ciascuna presentazione è estremamente clinically-oriented. Naturalmente, per non perdere tempo prezioso, mentre si assiste alla conferenza, si mangia pure. Almeno il cibo è gentilmente offerto dall’MGH…

Talvolta, nello spazio della noon conference si approfitta per presentare un caso clinico in cui si sono commessi errori. Infatti, è proprio dagli sbagli che si impara. Si passa quindi un’ora ad analizzare tutte le procedure e le decisioni prese nello specifico caso, per trovare i momenti in cui si è sbagliato, e poi trovare i modi per evitare in futuro di ripetere gli errori.

 

Mercoledì 31 agosto 2005. Boston.

Oggi è stato il mio ultimo giorno in White 10, col Team C. È stato un po’ strano e triste lasciare quell’ambiente, ma d’altronde i resident che avevano lavorato con me erano già tutti andati altrove. Da lunedì inizio le mie due settimane elettive nel Liver Service, i cui orari – dicono – dovrebbero essere più umani (8-17?). Ah, a onor di cronaca, ho scoperto che il giro visite, nei reparti di chirurgia, inizia alle 5 di mattina…

Oggi la noon conference è stata particolare. Infatti, il venerdì dell’ultima settimana di ogni turno viene dedicato alla presentazione di casi clinici particolari da parte dei Junior Resident di ogni Team. Purtroppo il nostro, David, era in vacanza: quindi siamo stati l’unico Team senza momento di gloria… Dagli interventi degli altri Junior, comunque, ho appreso alcune informazioni importanti. Ad esempio, in un reparto medio di 20 letti, ci sono stati 119 pazienti in un mese; quindi la degenza media di un malato, al MassGeneral, è di 5 giorni.

C’è stato anche spazio per alcuni casi divertenti. Ad esempio, c’è stato in un reparto un paziente psicotico che è caduto dal letto, nonostante le cinghie di contenzione. Si è spaccato la faccia – sangue dappertutto –, ha perso la PICC line (Peripherally-Inserted Central Catheter). Perciò gli hanno fatto 8 diverse indagini radiologiche in 24 ore per cercare di capire dove fosse finito questo catetere (perfino una TAC addominale...), ma – nonostante tutto – non lo hanno trovano! Oppure ancora: paziente con metastasi nella mammella, che davano evidenti segni all'esame obiettivo, che però non è stato inizialmente fatto, né dal medico di base, né – in un primo tempo –  in reparto. Le metastasi alla mammella sono state poi scoperte con una TAC pelvica...

E, per finire, un paio di dati tecnici, utili per far riflettere: i tempi medi di attesa per una gastroscopia o una colonscopia, per qualsiasi paziente dell’MGH, sono di una settimana più o meno… E il giro visite dei pazienti, nei reparti di chirurgia, inizia alle cinque di mattina… Meno male che voglio fare l’internista!!

 

Martedì 6 settembre 2005. Boston.

È iniziata la mia ultima settimana al MassGeneral Hospital… Mi sta già venendo un po’ di tristezza, sentimento che – una volta ritornato coi piedi per terra, nella realtà padovana – si tramuterà in una nostalgia frustrata, viste le tante e tanto grandi differenze tra i due ambienti.

La settimana scorsa sono stato nella GI Unit (cioè a Gastroenterologia). Volevo fare soprattutto Liver Service, però alla fine ho passato solo poche ore a fare consulti con gli epatologi, e ho passato molto più tempo a vedere colonscopie e gastroscopie… Non è stato il massimo, anche perché queste cose le avevo già viste l’anno scorso a Padova.

Quindi questa settimana ho chiesto al mio mentore, Mark Poznansky, se potevo frequentare Malattie infettive (ID). Questo ambiente più interessante, per me; tuttavia è un servizio di consulti, come GI. Quindi il ritmo di lavoro e le possibilità di apprendimento sono molto più ridotti, rispetto alle mie prime quattro settimane in White 10, che ricorderò per sempre come il primo vero momento in cui mi sono davvero sentito un po’ meno studente di medicina e un po’ più medico, veramente soddisfatto per quello che stavo facendo e, soprattutto, come lo stavo facendo.

Stamattina ho incontrato il Dr Dennis Ausiello, direttore del Dipartimento di Medicina e autore di uno dei libri di testo di Medicina Interna più famosi e ben fatti… Costui è di origini italiane ed era curioso di incontrare il primo studente di medicina italiano in visita all’MGH… Abbiamo conversato per mezzora, lui è stato molto gentile, affabile e disponibile. Ha poco più di cinquant’anni, per questo – essendo io abituato agli standard italiani – all’inizio sono rimasto molto sorpreso che fosse lui il direttore di un dipartimento che conta centinaia di eccellenti medici e vanta un budget di decine di milioni di dollari all’anno. Ma qui, come lui stesso mi ha ripetuto, non importa di che nazionalità, razza, religione, background socio-culturale tu sei; conta solo un criterio: l’eccellenza.

 

Bando alle ciance! Scarica un po' di materiale interessante!